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La notte della creazione e la comparsa del sole

da G. Ravasi, Il racconto del cielo, Mondadori, Milano 1995, (15-23 passim)

Come i continenti appaiono dal ritirarsi degli oceani, così il creato affiora da un ritirarsi di Dio, che causa e domina la realtà creaturale, ma non l’assorbe. Questa immagine di Hölderlin ci permette di illustrare la visione biblica della finitudine del creato, del suo limite, del suo essere sospeso sull’oceano del nulla. È stato spesso osservato che il nulla è “inesprimibile” in una cultura realistico-simbolica com’è quella semitica, che ignora astrazioni,concetti formali ed essenziali. Eppure nella  prima pagina della Genesi e della Bibbia, una via per esprimere  la creatio ex nihilo, come dirà rigorosamente il linguaggio teologico medievale, è imboccata. Essa è ovviamente simbolica. Nel secondo verso della Genesi leggiamo: “ la terra era tohu wabohu e le tenebre ricoprivano l’abisso”. Quel tohu wabohu, termine onomatopeico nella sua grossolana e grezza fonetica, evoca una superficie desertica, desolata e squallida e indica appunto assenza di vita, silenzio, morte, cioè l’esatto contrario di quanto Dio farà subito sbocciare. Ci sono poi “le tenebre”, negazione della luce; ‘or, la “luce”, sarà la prima entità ad apparire. Infine c’è l’”abisso”, in ebraico Tehom ( rimanda al Tiamat, la divinità mesopotamica del caos), che si spalanca sotto la terra, concepita appunto come una piattaforma come una piattaforma sostenuta da colonne che si ergono sull’abisso vertiginosa.

Deserto, tenebra, abisso è la triade oscura del nulla che è vinta dalla parola  divina creatrice. La creazione, che non è infinita perché si identificherebbe con Dio, rimane sospesa sul cratere del nulla  da dove è uscita attraverso il “dire” di Dio e il suo “barà”, che è quel verbo posto  nel “titolo” della Genesi ( “In principio Dio creò (barà) cielo e terra” Gn 1,1) e che simbolicamente rimanda al lavoro del taglialegna, di chi squadra i tronchi,e del cavatore di pietra.

Nella poesia biblica si accendono due soli. Il primo è quello che campeggia il cielo terso di Palestina ; il secondo è quello  che brilla nell’anima di Israele, cioè la Torah, la legge divina, la Rivelazione biblica, descritta appunto con immagini solari (“ i comandamenti di Jhwh sono radiosi, /illuminano gli occhi;/ la parola di Jhwh è pura, / anche il tuo servo ne viene illuminato”). Ma è la primo sole che noi ora guardiamo. Come un eroe, esce dal talamo nuziale, il grembo delle tenebre, ove aha trascorso la notte; come un atleta, compie il suo folle volo sull’orizzonte, senza conoscere soste e stanchezze, avvolgendo il pianeta nel calore irresistibile del mezzodì. Una simbologia nota, rintracciabile anche in Mesopotamia, in un inno al dio solare Shamash; “ O sole, guerriero e atleta, e tu. Notte, sua sposa, lanciate sempre uno sguardo luminoso alle mie azioni giuste!”. Ascoltiamo il salmista: “ Là per il sole Dio pose un  tenda: / di là esce quale sposo dal talamo, /beato come un eroe percorre la sua via. / Da un estremo del cielo egli sorge, / la sua orbita conquista l’altro estremo./ Non v’è riparo ai suoi raggi di fuoco!” ( Sal 19,6-7). nell’avvio dello stesso salmo si coglie la voce della creazione , anzi il “racconto” del cielo. Il poeta ebreo, infatti, non contempla l’universo con animo romantico, egli è alla ricerca della voce primordiale e la scopre nell’arco del cielo. Notte e giorno sono rappresentati come sentinelle che di postazione in postazione  trasmettono un messaggio divino: “ I cieli narrano la gloria di Dio/, il firmamento annunzia le opere delle sue  mani; / il giorno affida il messagio al giorno, / la notte ne trasmete notizia alal notte, / senza discorsi, senza parole, /senza che si oda alcun suono./ Eppure la loro voce si espande per tutta la terra, / sino ai confini del mondo la loro parola!” / Sal 19,2-5). Un famoso commentatore del salterio, Hermann Gunkel, notava che per il salmista “c’è nell’universo una musica teologica”, un vangelo cosmico, che prepara quello esplicito della Torah.”