home  »  Approfondimenti  »  La preghiera di Gesù al Getzemani

La preghiera di Gesù al Getzemani

Tratto da: J. Ratzinger, Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, LEV, Roma 2011, 174-177)

Possiamo distinguere, in questa preghiera di Gesù, tre elementi. C’è innanzitutto  l’esperienza primordiale della paura, lo sconvolgimento di fronte al potere della morte, lo spavento davanti  all’abisso del nulla, che lo fa tremare, anzi che, secondo Luca, lo fa sudare gocce di sangue (cfr 22,44). In Giovanni (cfr 12,27) questo sconvolgimento è espresso, come nei sinottici, in riferimento al salmo 43,5, ma con una parola che rende particolarmente evidente il carattere abissale della paura di Gesù: tetáraktai –  è la stessa parola che  terássein che Giovanni usa per descrivere il profondo turbamento di Gesù davanti alla tomba di Lazzaro (cfr 11,33), come anche il suo turbamento interiore  nel preannuncio del tradimento di Giuda nel cenacolo (cfr 13,21).

Con ciò Giovanni esprime senza dubbio l’angoscia  primordiale della creatura di fronte alla vicinanza della morte, c’è però qualcosa di più: è lo sconvolgimento particolare di Colui che è la Vita stessa davanti all’abisso di tutto il potere della distruzione, del male, di ciò che si oppone a Dio, e che ora gli crolla direttamente addosso, che Egli in modo immediato deve ora prendere su di sé, anzi deve accogliere dentro di sé fino al punto di essere personalmente “fatto peccato” (2 Cor 5,21).

Proprio perché è il Figlio, egli vede con estrema chiarezza l’intera marea sporca del male, tutto il potere della menzogna e della superbia, tutta l’astuzia e l’atrocità del male, che si mette la maschera della vita e serve continuamente la distruzione dell’essere, la deturpazione e l’annientamento della vita. Proprio perché è il Figlio, Egli sente profondamente l’orrore, tutta la sporcizia e la perfidia che deve bere in quel “calice” a Lui destinato: tutto il potere del peccato e della morte. Tutto questo Egli deve accogliere dentro di sé, affinché in Lui sia provato di potere e superato. Bultmann dice  con ragione: Gesù è qui “non solo il prototipo in cui l’atteggiamento richiesto all’uomo diventa visibile in modo esemplare… ma Egli è anche e sopratutto il rivelatore, la cui scelta soltanto rende possibile l’opzione umana per Dio in un’ora simile”. L’angoscia di Gesù è una cosa molto più radicale di quell’angoscia  che assale ogni uomo di fronte alla morte: è lo scontro stesso tra luce e tenebre vitae morte –  il vero dramma che caratterizza la storia umana. In questo senso possiamo con Pascal in modo del tutto personale applicare l’avvenimento del Monte degli ulivi anche a noi: anche  il mio peccato era presente in quel calice spaventoso. “ Quelle gocce di sangue, le ho versate per te”, sono le parole che Pascal sente rivolte a sé dal Signore in agonia nel monte degli Ulivi (cfr Pensées, VII 553).

Le due parti della preghiera di Gesù appaiono come la contrapposizione di due volontà: c’è la “ volontà  naturale” dell’uomo Gesù, che recalcitra di fronte all’aspetto mostruoso e distruttivo dell’avvenimento e vorrebbe chiedere che il calice “passi oltre”; e c’è la “volontà del Figlio”, che si abbandona totalmente alla volontà del Padre. Se vogliamo cercare di comprendere per quanto possibile questo mistero delle due “volontà”, è utile gettare ancora uno sguardo  sulla versione giovannea di quella preghiera. Anche in Giovanni troviamo le due domande di Gesù: “Padre, salvami da quest’ora… Padre, glorifica il tuo nome” (12,27 s).

Il rapporto tra le due domande in Giovanni non è fondamentalmente diverso da quello rinvenibile nei sinottici. La tribolazione dell’anima umana di Gesù (“l’anima mia è turbata”; Bultmann traduce “ ho paura” spinge Gesù a chiedere di essere salvato da quell’ora. Ma la consapevolezza circa la sua missione, il fatto cioè che proprio per quell’ora Egli è venuto, lo fa pronunciare la seconda domanda –  la domanda che Dio glorifichi il suo nome: proprio la croce, l’accettazione della cosa orribile, l’entrare nell’ignominia dell’annientamento della dignità personale, nell’ignominia di una morte infame diventa la glorificazione  del nome di Dio. Proprio così, infatti, Dio si rende manifesto per quello che è: il Dio che nell’abisso del suo amore, nel donare se stesso oppone  a tutte le potenze del male il vero potere del bene.  Gesù ha pronunciato ambedue le domande, ma la prima, quella di essere “salvato”, è fusa insieme con la seconda, che chiede la glorificazione di Dio nella realizzazione della sua volontà – e così il contrasto nell’intimo dell’esistenza  umana di Gesù è ricomposto in unità.