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L’incontro con il cieco nato come esempio di cambiamento radicale

di M. Tibaldi

Il punto critico nella relazione interpersonale è la gestione dei “filtri” con cui ognuno interpreta la realtà. La modifica dei filtri è fonte di cambiamento, biblicamente detto di conversione, però questi cambiamenti possono essere sostanzialmente di due tipi. Seguendo la schematizzazione dello psicologo  P. Watzalawich ci sono  due possibili tipi di cambiamenti (C1 e C2). Ognuno di noi è, infatti,  un sistema complesso di relazioni e se si vuole cambiare qualcosa lo si può fare o senza toccare l’equilibrio, l’omeostasi, del mio sistema oppure trasformandolo completamente. Ovviamente solo il secondo è un vero cambiamento perché è quello che punta a cambiare gli equilibri. Ci sono dei microcambiamenti che pur essendo dei cambiamenti non intaccano il mio sistema, cioè sono cambiamenti che continueranno a confermarmi nel mio modo di vedere la realtà. Il Signore   propone sempre un cambiamento del secondo tipo (C2), ovvero il  cambiamento che mette in discussione gli equilibri. Un esempio di cambiamento del primo tipo (C1) nella bibbia è l’incontro tra Gesù con il giovane  ricco  (Mc 10,17-22). Il giovane si interroga in un momento di pausa, cerca un momento fusionale con Gesù e Gesù risponde aumentando il distacco, gli dice infatti che ‘solo uno è buono’, di ‘osservare i comandamenti’,  di ‘vendere i suoi beni’, ovvero gli propone un cambiamento radicale (C2), gli propone di cambiare  sistema di riferimento. Il messaggio di Gesù disconferma il  sistema di riferimento del giovane ricco. Appena gli propone un vero cambiamento quest’uomo gli risponde  no. E’ una persona disposta a dei cambiamenti  che però confermino il vecchio equilibrio, Gesù invece allarga la prospettiva e provoca un C2.

Un esempio invece di cambiamento radicale lo troviamo nell’incontro tra Gesù e il  cieco nato (Gv 9,1-41)  anche se questo lo porterà a complicarsi la vita. Vediamolo più da vicino. Il testo di Giovanni  fa riferimento a dei cambiamenti profondi, partendo dal presupposto non scontato, che realmente li si desideri. Si ha  un desiderio nella misura in cui si vuole raggiungere un determinato obiettivo e conseguentemente si mettono in azione quei mezzi atti a raggiungere il fine ci si è proposto. Nell’episodio dell’incontro con il cieco nato si possono vedere bene le dinamiche che possono bloccare il cambiamento stesso.

Di fronte alla cecità, la prima domanda è che cosa ha fatto di male per essere in quella situazione. Freud parlerebbe di “credenze funzionali” che sono prodotte da noi senza una reale corrispondenza nella realtà. Noi ci immaginiamo Dio in un certo modo e ce lo immaginiamo in maniera tale che sia una specie di giustiziere che rimette le cose a posto. La domanda dei discepoli tenta di razionalizzare la cecità, riconducendola ad una azione di  Dio che interviene nella vita, facendo corrispondere al peccato dei genitori la cecità dei figli.  In questo sistema, Dio interviene ristabilendo l’ordine dopo la violazione del peccato, Dio è il garante dell’equilibrio. Questa lettura dei fatti proposta dai discepoli è un’interpretazione di conferma rispetto al loro schema mentale. Il loro sistema di riferimento ha interiorizzato la presenza di un Dio così, però la risposta di Gesù contrasta questa credenza funzionale: né lui né i suoi genitori hanno peccato  e allora? Gesù apre un nuovo ordine di senso: è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. Gesù apre un’alternativa ad una credenza funzionale, introduce una variabile nuova che interpreta la realtà diversamente, Gesù introduce un elemento destabilizzante prima di tutto nella vita dei discepoli.

I gesti di Gesù verso il cieco nato (Gv 9,6) sono gesti di creazione, richiamano l’origine, sono elementi che rimandano ad una nuova creazione; è una modalità di intervento con cui si sta operando qualcosa di radicalmente nuovo.

I vicini,  gli altri mendicanti, quelli che lo hanno frequentato giorno dopo giorno, non lo riconoscono, non riconoscono il cambiamento apportato dall’aver acquistato la vista. La guarigione comincia a destabilizzare non solo la vita del cieco nato, ma anche il suo mondo relazionale. Queste contestazioni sono  un bel segno, poiché indicano che si stanno  toccando gli equilibri fondamentali. Se non c’ è questo tipo di reazione si è ancora nei  cambiamenti fittizi. Questa reazione si ritrova anche nel gruppo dei farisei (Gv 9,16 ss) i quali affermano che Gesù non viene da Dio perché guarisce di sabato.

Il sabato è stato al centro di molte dispute di Gesù. È  stato un luogo di conflitto molto forte, perché il giorno di sabato  è come un sistema. Nelle due tradizioni bibliche, Esodo  e Deuteronomio, era un giorno dedicato alla creazione nuova, il settimo giorno non è non far niente ma il giorno in cui si gusta la creazione: celebrare l’istituto del sabato voleva dire vivere la nuova creazione e vivere la nuova liberazione. Al tempo di Gesù, la Torà orale aveva ridotto il sabato a un giorno statico in cui non si poteva fare nulla, in cui non si poteva salvare nessuno a meno che uno non fosse in pericolo di vita.

Gesù  si mette a fare di sabato quello che diceva l’autentica tradizione biblica: fa miracoli, compie guarigioni per essere fedele al Padre e per obbedire alle Scritture.  È  in gioco un equilibrio religioso molto importante, è la funzione del sabato che Gesù  mina. Gesù risponde disobbedendo ad alcune norme perché in questa circostanza è questa l’unica strada per obbedire a Dio. Il cieco viene liberato di sabato e viene ricreato:  è una persona nuova a cui viene restituita la libertà. I giudei hanno un filtro sulla realtà tale per cui negano che Gesù abbia operato questa guarigione. Si nega che quest’uomo fosse stato cieco.  Se passa questo stimolo nuovo tutto il loro sistema di interpretazione della realtà e del rapporto con Dio crolla.

Infine c’è un conflitto anche con gli affetti famigliari (Gv 9,19 ss): i genitori hanno paura di essere scaricati dalla sinagoga quindi dicono ai giudei che il figlio è già grande per parlare da solo. Se anche i genitori vengono chiamati in causa, ciò significa che il cambiamento prodotto è veramente profondo. Nella dinamica tra fusione e distacco il cieco vede che la guarigione lo ha allontanato dai farisei, dai suoi vicini e dai sui genitori e allora si può chiedere ragionevolmente  se ne valeva la pena. Acquistare la vita non è indolore, perché  al sistema l’uomo serviva come cieco e lui doveva rimanere cieco. La cecità è funzionale alla conservazione di un equilibrio, e allora ci vuole una forte dose di motivazione per puntare al cambiamento. Quando l’altro sarà guarito saranno problemi per coloro che si sono relazionati fino ad allora con lui ed anche per lui stesso.