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Lo Stile di Gesù

De Buffon si pose la domanda: “Che cos’è lo stile?”, e cercò di rispondervi nel 1753 con il Discorso sullo stile, sintetizzabile nella locuzione: “Lo stile è l’uomo stesso”. In seguito sono venute altre definizioni dello stile: “Lo stile è la fisionomia dello spirito” (Arthur Schopenhauer); “Non c’è arte dove non c’è stile” (Oscar Wilde); “Lo stile è superiore alla verità, porta in sé la dimostrazione dell’esistenza” (Gottfried Benn).

Lo stile è l’uomo!

Sì, lo stile è l’uomo stesso, l’uomo reale, concreto, in carne e ossa, corpo e spirito, razionalità e sentimento. Se non c’è stile, non c’è persona, c’è tohu wa-bohu (Gen 1,2), o il vuoto o il caos; se non c’è stile, uno non sa chi è, che cosa fa, che cosa ha. Ecco perché lo stile lascia un’aura indefinibile nella persona: un’aura che dipende dalla sua intimità, dalla sua vita interiore, ma anche dal suo parlare che sceglie tonalità di voce diverse, adeguate alla situazione e all’interlocutore, dal suo modo di camminare capace di narrare la persona, dal suo modo di mangiare facendo di quell’atto un evento sempre conviviale, contro ogni barbarie, consumismo e depredazione. Lo stile così esercitato si rifrange sul tacere, sul toccare, sul sentire il mondo, sul riposarsi e sul divertirsi.

Assumere uno stile abbisogna di tanta vigilanza e di molto tempo: occorre vigilare su di sé, avere cura del corpo così come dell’interiorità; e occorre dedicarvi tanto tempo, perché ciò che si tenta di fare, con fatica, solo nel tempo e a volte dopo molti tentativi falliti diventa abituale, un habitus che conferisce e manifesta lo stile. Lo stile – oso dire – è l’epifania della passione di un uomo; è l’epifania della sua cella più segreta, il cuore; è il chiarore emanato dal fuoco che ognuno fa ardere in sé. Per questo lo stile o è sincero, o non è stile!

«Imparate da me»

Ciò che emerge dai vangeli è che Gesù aveva uno stile preciso: nel vivere quotidiano, nel parlare, nello stare con gli altri, nell’incontrarli, nel toccarli e nel farsi toccare, nel guardarli e nel lasciarsi guardare, nel camminare un po’ in fretta e con una meta precisa, il volto teso verso l’invisibile ma capace di mettere i propri occhi negli occhi di chi incontrava… Per questo i cristiani, discepoli di Gesù, non dovrebbero mai prescindere dallo stile di comunicazione e di prassi: questo perché lo stile è tanto importante quanto il contenuto del messaggio. Non si può comunicare una buona notizia – tanto meno la buona notizia che è il vangelo – attraverso una cattiva comunicazione, non si possono annunciare la pace, la mitezza, la riconciliazione, la misericordia con uno stile arrogante che vuole imporre e appare pretenzioso. È significativo che nei vangeli si trovino sulla bocca di Gesù più avvertimenti sullo stile che non sul contenuto del messaggio da predicare. Il messaggio è sempre breve, sintetico e riguarda essenzialmente la venuta del regno di Dio, mentre le parole di Gesù su come tale messaggio debba essere annunciato sono molte, precise e puntuali: “Andate come pecore tra i lupi” (cf. Mt 10,16); “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29); “Non fate come gli ipocriti” (cf. Mt 6,2.5.16)…

«Cristiani con stile»

Lo stile con cui il cristiano sta nel mondo e nella storia è dunque determinante: da esso dipende la fede stessa, che non può mai essere contraddetta dai mezzi e dai modi con cui è narrata, trasmessa o testimoniata. Ecco perché, a mio avviso, tra le più gravi contraddizioni a una testimonianza cristiana efficace oggi va segnalata proprio la mancanza di stile: nel comunicare innanzitutto, ma anche nel cercare di vivere le esigenze evangeliche. Uomini e donne, cristiani generosi e convinti, assumono sovente uno stile che impedisce al loro messaggio di raggiungere il cuore degli altri. La loro ostentata sicurezza, il loro sentirsi possessori della verità, la loro presenza totalitaria, il loro parlare autoreferenziale, il loro sentirsi i veri cristiani, la loro ossessione di “mostrare i muscoli” e di contare: tutto questo è una smentita del vangelo che vorrebbero annunciare. Davvero ci resta ancora molto da imparare dalla mitezza e dall’umiltà di Gesù: ne va della qualità della nostra vita e dei nostri rapporti con gli altri ma, prima ancora, della corsa del Vangelo nella storia.

Enzo Bianchi
Da Jesus 2013