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L’unità dei comandamenti a partire dal peccato di Davide

di Marco Tibaldi

(Tratto da M. Tibaldi, La mano e il bastone. Personaggi in cerca di attore: Mosè, Pardes Bologna 2013)

Prendiamo in esame un episodio emblematico per illustrare l’unità dei vari comandamenti, ovvero il fatto che l’infrazione di uno tende inequivocabilmente alla rottura anche degli altri. Cerchiamo di mettere in luce la dinamica che conduce al peccato soprattutto illustrando il come inizia.

Il contesto del nostro episodio è la guerra che Israele sta conducendo contro gli Ammoniti. Contrariamente però ad altre occasioni, Davide non parte e invia il fido generale Ioab a dirigere le operazioni e così gli israeliti “posero l’assedio a Rabbà mentre Davide rimaneva a Gerusalemme” (2Sam 11,1). Il testo sembra rimarcare con una certa sfumatura di biasimo il fatto che mentre il suo esercito è in guerra il re resta a Gerusalemme. Questa impressione è rafforzata da quanto viene detto subito dopo: “un tardo pomeriggio Davide, alzatosi da letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia”. Davide ha l’esercito in guerra, ma non sembra molto preoccupato, anzi sembra molto annoiato al punto da fare lunghe dormite pomeridiane, probabilmente precedute da lauti pasti e bevute… Non sta ancora infrangendo nessun comandamento, però ha una condotta di vita pigra, non corrispondente ai compiti che deve assolvere. All’interno di questo clima di rilassatezza, compare l’occasione: “Dall’alto di quella terrazza egli vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella d’aspetto”.

Qui il re si trova di fronte al primo vero bivio: che fare? Distogliere lo sguardo o continuare, lasciar perdere o coinvolgersi?

Davide prese informazioni sulla donna, moglie di un suo fedele soldato di nome Uria che si trova al fronte, decide di farla venire a corte e di unirsi a lei. Poi la rimanda come se nulla fosse accaduto, ma qualche tempo dopo, lei gli fa sapere di essere rimasta incinta. Di nuovo il re è posto di fronte ad una scelta impegnativa: che fare? Arrendersi all’evidenza e confessare il proprio errore assumendosene tutte le conseguenze oppure cercare di mascherare la faccenda? Davide sceglie la seconda opzione e, convocato dal fronte Uria, cerca di farlo andare a casa il prima possibile affinché sia plausibile la nascita del bambino. Questi però non cede all’invito pur legittimo e dopo aver parlato con il re non scende a casa sua: “L’arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende, Ioab mio signore e i servi del mio signore sono accampati in aperta campagna e io dovrei entrare in casa mia per mangiare e bene e per giacere con mia moglie? Per la tua vita, per la vita della tua persona, non farò mai una cosa simile!” (2Sam 11,11). Nonostante le prove di fedeltà di Uria, Davide non si piega e decide di alzare la posta prendendo la decisione di eliminare Uria. Intima così al generale Ioab di organizzare una missione suicida per far morire Uria. E così avviene. Davide allora terminato il periodo di lutto di Betsabea “la mandò a prendere e l’aggregò alla sua casa” (2Sam 11,27).

Dalla ricostruzione della vicenda possiamo notare come a cominciare da un comandamento apparentemente secondario “non desiderare la donna d’altri” si sia innescato un meccanismo che ha condotta Davide fino all’uccisione. Per coprire il suo peccato e non infangare pubblicamente la sua immagine Davide ha mentito, ha dato falsa testimonianza e soprattutto si è considerato come il padrone assoluto della situazione e della vita altrui. Si è in definitiva considerato come Dio, contrabbandando però di Dio un’immagine distorta, come se Dio potesse fare nel bene e nel male quello che gli pare. In questo senso non ha reso onore né al suo nome né a quello del suo casato. Insomma cominciando dall’ultimo ha di fatto infranto tutti i comandamenti.