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I miracoli di Gesù

di Marco Tibaldi

La Bibbia ci presenta diversi tipi di miracoli anche se, soprattutto nell’Antico Testamento non c’è un termine preciso per designarli. Anche il Nuovo Testamento va in questa direzione e preferisce parlare a proposito dei miracoli di “segni” (semeia) e “potenze” (dunameis). Così ad esempio vengono qualificate le piaghe d’Egitto che sono un po’ il prototipo del miracolo per l’Antico Testamento. Vediamo un passo particolarmente significativo:

Io moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d’Egitto; allora gli egiziani sapranno (riconoscere) che io sono il Signore (JHWH)
(Es 7,3-5)

Ciò che qui viene detto a proposito del miracolo è che esso mette in moto un processo di conoscenza che non si ferma sull’episodio considerato miracoloso, ma sul suo significato.

Secondo un antico proverbio cinese, quando il dito indica la luna lo stolto guarda il dito. È un po’ così anche per i miracoli, secondo la Bibbia, che intendono indicare qualcosa d’altro rispetto al fatto in sé: essi intendono appunto essere dei segni. Il miracolo è quindi un fenomeno di comunicazione e quindi deve essere interpretato secondo le leggi di ogni comunicazione.

Il miracolo come fenomeno comunicativo

Gli episodi in cui si è verificato un fatto miracoloso sono riconducibili a tre categorie fondamentali:

  • guarigioni (ad esempio… la suocera di Simone Mc 1,29-31; un lebbroso Mc 1, 40-44; un paralitico Mc 2,1-12),
  • esorcismi (un indemoniato nella sinagoga di Cafarnao Mc 1, 21-28; un indemoniato a Gerasa Mc 5,1-20)
  • eventi naturali (la moltiplicazione dei pani Mc 6,30-44, Gesù che cammina sulle acque Mc 5,42-55).

I significati che si collegano a questi eventi sono anch’essi di tre tipi. In primo luogo, intendono far capire che con Gesù è veramente arrivato il Regno di Dio. Se Gesù e Dio ricominciano a regnare allora non regna più il nemico, l’avversario, il principe di questo mondo, il diavolo. Per questo Matteo afferma che Gesù ha detto: «Se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il Regno di Dio» (Mt 12,28).

Gesù pone questi segni di guarigione perché vuol far capire che ora sta cominciando una nuova storia in cui gli uomini vengono ‘restaurati’ in base al progetto originario che il creatore aveva su di loro. Per questo egli guarisce dai peccati e dai segni che il peccato ha lasciato sugli uomini, come le malattie e la morte. I miracoli sono quindi prima di tutto dei segni di speranza per il mondo a cui viene offerta un’alternativa, rispetto alla rassegnazione.

In secondo luogo Gesù vuol far capire il legame con le promesse dell’Antico Testamento. I segni che egli compie devono far capire ai suoi ascoltatori che lui è il messia atteso da Israele, un messia che era identificato anche dai segni portentosi che avrebbe fatto. Per questo quando Giovanni fa chiedere a Gesù se sia lui il messia, Gesù, secondo l’evangelista Matteo risponde così: «andate a riferire a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5). Gran parte di queste affermazioni sono del profeta Isaia, che le aveva pronunziate in riferimento ai tempi del messia. Questi segni quindi intendono testimoniare il ‘potere’ (exousia) che ha Gesù, il quale «insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi» (Mt 7,29). È lui che inaugura gli ultimi tempi tanto attesi, è lui il compimento della promessa. Questo vogliono far intendere i miracoli.

Se questi sono alcuni significati che i miracoli vogliono trasmettere, la realtà concreta cui intendono far riferimento è la sequela: essi invitano infatti coloro che li ricevono o coloro che vi assistono a diventare a un qualche livello discepoli di Gesù.

Il primo miracolo di guarigione raccontato nel Vangelo di Marco, la guarigione della suocera di Simone, termina con una frase significativa «E la febbre la lasciò e si mise a servirli» (Mc 1,31). È questo lo scopo ‘pratico’, il ciò a cui si riferiscono i miracoli. Non sono uno sfoggio di potenza di Gesù ma un invito a vivere una vita nuova all’insegna del servizio. La suocera di Simone, come poco dopo il lebbroso (Mc1,40-45), vengono guariti globalmente, perché mettano tutta la loro vita a servizio di Gesù , che ha ridato loro la vita che avevano perduta. Sono interpretabili in questa linea anche tutti gli altri miracoli che per il teologo S. Fausti: «illustrano le varie guarigioni specifiche delle nostre membra e facoltà: i piedi per camminare dietro a lui, le mani per ricevere e donare come lui, l’orecchio per ascoltare la verità, la lingua per comunicare noi stessi e l’occhio per vedere la realtà davanti alla quale siamo ciò che siamo. Al centro c’è il miracolo della fede che sana la vita e libera dalla morte (emorroissa e figlia di Giairo Mc 5,21-45)» (S. Fausti, Ricorda e racconta il vangelo. La catechesi narrativa del vangelo di Marco, Ancora, Milano 1997, 51).

I miracoli e la fede

C’ è un dato molto interessante che colpisce il lettore dei vangeli a proposito dei miracoli di Gesù. Essi sono sempre associati alla fede, nel senso che o intendono provocarla attraverso lo stupore: «che è mai questo ? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e questi gli obbediscono!» (Mc 1,27) dicono meravigliati gli abitanti di Cafarnao che si trovano nella sinagoga mentre Gesù guarisce un indemoniato, oppure, addirittura, la presuppongono per la riuscita del miracolo stesso. Molti racconti terminano infatti con l’affermazione «la tua fede ti ha salvato/a» (Mc 5,34; 10,52; Mt 9,22; Lc 17,19).

Cosa vuol dire tutto ciò? Innanzitutto che i miracoli avvengono all’interno di un dialogo in cui la potenza di Dio interviene come risposta ad una domanda. Ciò non significa che sia la fede a provocare il miracolo che, per i vangeli, è sempre opera della potenza di Dio, ma che solo un atteggiamento di fiducia e di apertura nei confronti di Dio gli consente di dispiegare la sua potenza guaritrice.

Tornando al linguaggio della comunicazione che abbiamo utilizzato prima, la fede è il codice perché possa esistere la comunicazione tra Dio e l’uomo. Il codice infatti è quell’insieme di informazioni che consentono di interpretare i messaggi. Allo stesso modo, per poter intendere il senso delle parole e dei gesti di Gesù occorre la fede, che è l’unico codice adeguato per poter entrare in relazione con Dio.

Ciò fa si che i miracoli di Gesù non si impongono mai con un’evidenza assoluta, tanto che essi possono essere anche fraintesi come attività diaboliche: «Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: “Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni”» (Mc 3,22).

I miracoli e la scienza

La mentalità comune fa oggi più fatica di un tempo ad accettare l’esistenza dei miracoli. La teologia d’inizio secolo sosteneva che i miracoli sono un intervento dell’onnipotenza di Dio che agisce in deroga alle leggi naturali. Questa definizione però è difficilmente comprensibile anche per un credente. Infatti Dio non agisce mai sostituendosi alle leggi del creato, altrimenti la sua azione sarebbe incomprensibile. Dire inoltre che Dio agisce in deroga alle leggi del creato presuppone che noi conosciamo tutte le leggi della natura, cosa che siamo ben lontani dall’avere raggiunto.

Il problema del confronto con la scienza va impostato in altro modo. I miracoli, infatti, intendono comunicare altri significati che non quelli scientifici. I testi dei vangeli e della bibbia sono interessati al contenuto religioso dei miracoli, non alla loro verità scientifica.

Per ‘analizzare’ i miracoli occorre analizzare i presupposti generali dei discorsi entro cui essi sono inquadrati. Se infatti si parte dal presupposto che non esista nulla al di fuori dell’evidenza scientifica non si riconoscerà mai la possibilità di un miracolo. Così è diverso pensare a Dio solo come all’architetto dell’universo, come colui che gli ha dato il colpo d’avvio per poi lasciarlo a se stesso; oppure, al contrario, concepirlo come un Dio che interviene nella storia, per farsi conoscere, allora il miracolo diviene una parte della comunicazione che Dio ha fatto di sé agli uomini e non tanto un modo parallelo per agire sulla natura.

I miracoli sono veri?

Alla luce di quanto detto finora possiamo anche meglio capire alcune affermazioni della scienza che studia i testi biblici (l’esegesi) secondo la quale non tutti i racconti di miracoli sono ‘veri’ nel senso che noi diamo normalmente a questa parola. Siccome i Vangeli non sono dei racconti giornalistici di quello che Gesù ha detto e fatto, ma la memoria ispirata della comunità che da lui è nata, in essi molti racconti hanno un valore teologico e non direttamente storico. Così ad esempio è per i miracoli che fanno riferimento alla natura, come la tempesta sedata o la pesca miracolosa. Sono racconti che intendono mettere in luce certi aspetti della persona di Gesù (come la sua resurrezione), più che dei fatti precisi della sua vita.

Con questo non si nega che Gesù abbia compiuto alcuni eventi prodigiosi che sono stati registrati dai Vangeli, anche se essi vanno sempre letti all’interno della cornice religiosa dei testi che li raccontano.
Per altri episodi non è poi necessario chiamare in causa un intervento straordinario di Dio poiché ciò che è stato percepito come miracoloso può essere un elemento naturale che in quel contesto assume un valore particolare per chi lo sta vivendo.