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La rilettura dell’epoca del deserto nel Deuteronomio

di Francesco de Gasperis

(tratto da Le tappe della storia della salvezza, Bologna, pro manuscripto)

Deuteronomio = Rilettura dell’Esodo

Il Deuteronomio è un approfondimento della consapevolezza della esperienza del deserto, dell’origine nel popolo. È stato scritto molto più tardi dell’Esodo e appartiene a un tipo di letteratura che risale probabilmente a poco prima dell’esilio babilonese. È una presa di coscienza della chiamata del popolo, alla luce di tutto quello che è seguito all’entrata della terra promessa. Il tema principale sono i discorsi che Mosè fa al popolo una volta arrivati al Giordano. Il popolo sta per passare il fiume e dai monti Moab, Mosè vede il paese nel quale il popolo sta per entrare; egli sa che lui non vi entrerà. Ricorda al popolo le vicende dei quarant’anni trascorsi nel deserto e anticipa il modo di come il popolo dovrà vivere nella terra promessa. è un momento importante perché segna il passaggio da una situazione pellegrinante, di noviziato della fede, a una situazione di insediamento, di stabilizzazione, di crescita. Scritto in questa prospettiva porta con sé il peso di tutta l’esperienza di più di quattro secoli di vita nella terra promessa e quindi la consapevolezza della fedeltà e infedeltà che sono seguite a questo ingresso.

Questa distanza tra il tempi in cui sono avvenuti i fatti e il momento in cui vengono riportati, ci serve a comprendere come leggere la Bibbia.

Bibbia = Coscienza che Israele ha della sua storia

Nella Bibbia ci deve interessare il testo così com’è. Negli scavi archeologici gli strati più superficiali sono quelli che interessano meno.

Oggi nel leggere la Bibbia prevale l’interesse archeologico, c’è la curiosità di arrivare ai fatti storici al di là della relazione biblica. Questo tipo di ricerca è utile e legittima dal punto di vista scientifico della critica letteraria, storica, della comparazione con altre fonti di conoscenza di questi elementi, ma non è di nessuna importanza per la lettura della Bibbia dal punto di vista della fede, perché la Parola di Dio ci è data non nei fatti che stanno dietro ai testi, anche se importanti, ma dai testi stessi così come si presentano oggi.

Gesù stesso è Parola di Dio, e per conoscere meglio questa Parola non si deve ricercare ciò che ha fatto storicamente Gesù (questo è un compito scientifico, non da affidare al popolo della fede): ci si deve rifare ai testi evangelici perché in essi sta la rivelazione che Dio ci ha fatto in Gesù. Al contrario di ciò che avviene in archeologia, è proprio lo strato ultimo il più interessante perché è la rivelazione.

Storicità del Deuteronomio – Ci sono dei contrasti tra i racconti dell’Esodo, dei Numeri e i racconti del Deuteronomio: è tutto un altro modo, un altro spirito di vedere le cose; tutti e due i racconti ci riportano i fatti, ma non semplicemente i fatti. Per capire questo si può fare una analogia: se uno di noi ha fatto una scelta di vita, per es. si è sposato, e racconta appena dopo il matrimonio il suo primo incontro con quella che è diventata la compagna della sua vita, lo fa in un certo modo. Se lo racconta dopo cinquant’anni quel racconto sarà diverso. Non perché vi aggiungerà qualcosa, ma perché ne ha una consapevolezza più profonda, alla luce di quello che è avvenuto dopo. Il racconto più storico non è necessariamente il primo. Quello che è storico nella Bibbia, è la coscienza che la persona, il popolo prende della sua vocazione, della sua vita. Se io oggi con consapevolezza più profonda mi rendo conto meglio di che cosa è stato l’inizio della mia esistenza, comprendo meglio i fatti di ieri. Questi fatti sono inseparabili dalla coscienza che io ne prendo.

La Bibbia è questo: la coscienza che Israele ha dei fatti della sua storia, cioè l’interpretazione di essi nella fede. Dio ci rivela la sua parola nella consapevolezza di fede che il popolo della fede ha della sua storia è estremamente importante il testo come è ora, al di là del fatto come è avvenuto storicamente.

Per esempio, il passaggio del Mar Rosso. – Ciò che è avvenuto al momento della sua traversata da parte del popolo ebreo dal punto di vista storico e scientifico (marea, forte vento o qualsiasi altra cosa) non ha importanza. Quello che importa è che qualcosa è avvenuto nella coscienza del popolo ebreo ed è stato così importante che la lettura e il ricordo di quell’avvenimento ha portato questo popolo a ripetere quel grido al Signore, quel comportamento di fede di fronte all’impossibile, per migliaia di anni nella sua storia. Quando siamo stretti tra due pericoli, se ne esce non arrendendosi al Faraone né suicidandosi, ma affrontando la difficoltà e il Signore ci farà superare l’ostacolo. Questo non è stato vissuto una sola volta, ma tutte le volte che un ebreo, un cristiano, un credente affronta un pericolo fidando unicamente nel Signore. (Pietro che cammina sulle acque è un ricordo di questo). Quell’evento è talmente storico che poi si è ripetuto tante volte nella storia, nella coscienza del credente e si ripete ancora oggi là dove questa fede è vissuta.

Deuteronomio = Maturazione di Fede

Dell’Esodo abbiamo queste due versioni e ambedue sono storiche in questo modo e soprattutto tutte due sono necessarie e utili per leggere quella storia nella fede del popolo che l’ha vissuta.

Sono due momenti diversi, a distanza di secoli in cui Israele racconta la storia che ha dato origine al popolo, racconta gli inizi della sua vocazione unendo al racconto dei fatti, l’interpretazione, la consapevolezza, la critica, la lucidità che ha acquistato, l’importanza di quei fatti lungo la sua crescita. Sotto questo aspetto il Deuteronomio è uno dei testi più belli da leggere perché è una meditazione molto più matura sugli inizi della storia di Israele. Per cogliere la maturazione del popolo è più bello il Deuteronomio dell’Esodo.

Deut 6,4 – C’è la confessione della fede e si trova anche il comandamento di amare Dio. Cosa che non si trova in questi termini in altri capitoli dell’A.T. Questa è l’assimilazione in termini ormai di tradizioni familiari della fede di Abramo. Il Signore è uno solo e bisogna amarlo sopra tutte le cose. Quello che Dio fa, quello che Dio dice non si deve mettere in discussione. Tutto ciò che in buona fede credo che Dio vuole da me, devo farlo. (Il sacrificio di Abramo del figlio Isacco, il sacrificio della figlia di Iefte) si tratterà poi di vedere se questa buona fede è vera fede. Di fatto ognuno di noi deve vivere oggi con la sua coscienza e questo diventa l’ultimo tribunale per agire. Se domani la mia coscienza sarà meglio illuminata agirò diversamente.

Terra Promessa = Dono

Un altro senso molto vivo che si trova nel Deut è quello del paese donato da Dio. Nel momento in cui stai per diventare un insediato e quindi avrai molte più cose che nel deserto, è martellante questo concetto: “Ricordati che questa terra è un dono che Dio ti fà”. Il timore del Signore è basato sul ricordo, sulla riconoscenza della liberazione è quindi sul fatto che quello che ho è un dono.

Deut 7,7 – Un’altra cosa che viene affermata con consapevolezza molto più profonda che nell’Esodo e nei Numeri, è il concetto della elezione come fatto puramente gratuito: qui si parla del Dio giusto che mantiene fedeltà a quello che ha cominciato a fare. Dove c’è Dio che fa qualcosa, non bisogna chiedersi perché lo ha fatto. Dio è amore e lo ha fatto perché Dio ci ama in questo modo.

Deut 8,2 – è il capitolo più importante perché riassume tutto il tempo del deserto come tempo di noviziato, di formazione del popolo. Ci sono le strutture fondamentali della fede biblica e della preghiera. Per un ebreo credere è ricordare, è rifarsi a una storia, ricordare che cosa è successo nel suo passato, come sia cominciata la sua storia. Gli Ebrei non hanno conservato gli antichi monumenti, ma gli antichi momenti della loro memoria sono una fede e una preghiera in cui è fondamentale il tempo. “Ricordati del cammino che Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto per umiliarti, per metterti alla prova”. “Umiliarti” vuol dire farti prendere coscienza della tua povertà, metterti nella verità della tua situazione dove Lui è tutto e tu senza di Lui non sei nulla, e con Lui sei tutto: questa è l’umiltà. “Metterti alla prova” per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. “Per farti credere che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore…”

Il pane il Signore te lo dà non perché tu viva, il pane non è una cosa che fa vivere. Si vive, ma del pane conosciuto come dono di Dio, del pane con la parola, del pane benedetto, del pane con la benedizione. Questo è talmente vero che la lezione del deserto è portata a compimento in Gesù il quale dice che, caso mai, si vive della Parola di Dio prima che di pane. Di pane si può digiunare, della Parola di Dio no. Questo non sembra vero sul piano pratico. Bisogna collegare sempre l’A.T. al N.T. se si pensa che il compimento è nel Nuovo Testamento: si arriva necessariamente alla morte e resurrezione di Gesù. Quando padre Kolbe è entrato nella cella della morte, è morto di fame, non ha trovato in un angolo della cella un panino, come invece Elia al quale il corvo portava il pane. Ma quelle erano le figure e questo è il compimento. Il compimento è proprio la morte, la croce del Signore. Il fatto che il pane, l’olio, non si esauriscono, è il simbolo della resurrezione, cioè la vittoria di Dio sulla morte, ma non è evitare la morte. La figura è il sacrificio di Isacco dove all’ultimo momento l’angelo viene a salvarlo. Il compimento è quando nessuno viene a salivare Gesù che non scende dalla croce, ma ci muore sopra. La figura ci serve a prepararci alla fede con cui andare incontro al compimento. Questo è il cammino della Bibbia. “Perché il tuo cuore non si inorgoglisca”: il pericolo di quando tu entrerai nella terra promessa sarà di dimenticare “il Signore che ti ha fatto uscire dall’Egitto”. La fede come memoria e il peccato come dimenticanza. Conquistando la terra promessa, ricordati che è Dio che ti dà la forza, se tu dimenticherai, perirai.

Deut 11,10 – Se obbedirete, il Signore vi visiterà, avrà cura della terra. Questa cura del Signore è espressa dalla pioggia che non è producibile dall’uomo.

Un nuovo profeta: Gesù

Deut 18,15 – Parlando dei profeti, annuncia che ne verrà uno che prenderà il posto di Mosè. C’è un testo che il Nuovo Testamento ha ripreso parecchio, ogni volta che ha presentato Gesù come profeta. C’è questa figura misteriosa che è un profeta come Mosè, a cui il Signore consegnerà le sue parole come le ha consegnate a Mosè. Questo profeta deve segnare un progresso rispetto a Mosè, qualcosa di nuovo. Questo progresso, in un certo tipo di tradizione giudaica, è espresso a proposito di questo fatto: che il popolo si è ritirato dalla montagna per paura della voce del Signore, dopo il Decalogo, ed ha mandato avanti Mosè. I commentatori rabbinici dicono che il decalogo era rimasto impresso bene nel cuore del popolo, perché venuto direttamente da Dio, mentre le altre cose sentite attraverso Mosè le aveva dimenticate. Il popolo allora, tornato da Mosè, chiede se Dio non può parlargli ancora direttamente e Mosè rispose che ora non è possibile, ma lo sarà alla venuta del nuovo profeta, allora Dio parlerà a tutti direttamente come la prima volta.

Ger 31 – “Metterò la legge nel vostro cuore…”

Ez 36 – “Vi darò un cuore nuovo, metterò in voi uno spirito nuovo”. Questo nella Chiesa è stato il modo con cui è inteso il dono dello Spirito Santo: è il momento con cui Dio parla non solo attraverso un intermediario a tutto il popolo, ma a ciascuno direttamente e questo è nel Nuovo Testamento. In Gesù questo si verifica perché Gesù è insieme un mediatore, ma non come è Mosè. “Chi vede me vede il Padre”: in Lui il Padre si rende visibile. È un mediatore senza essere un intermediario, perché attraverso il dono del suo Spirito, Dio imprime direttamente nel cuore di ciascuno la sua legge e il Suo Spirito. Questo è un aspetto essenziale del Nuovo Testamento che non è più una religione da intermediari, ma il dono dello Spirito dato a tutti. Non è la Chiesa che dona lo Spirito, ma è Dio. La Chiesa è al servizio dello Spirito che Dio dona agli uomini.